Sulla strada del ricordo

"Non è bella la vita dei pastori in Aspromonte, d'inverno, quando i torbidi torrenti corrono al mare, e la terra sembra navigare sulle acque. I pastori stanno nelle case costruite di frasche e di fango, e dormono con gli animali. Vanno in giro coi lunghi cappucci attaccati ad una mantelletta triangolare che protegge le spalle, come si vede talvolta raffigurato qualche dio greco pellegrino e invernale. I torrenti hanno una voce assordante…”. Le parole di Alvaro sono cariche di suggestioni emozioni, ricordi, e suggeriscono che la vita dell’uomo è in totale sintonia con la natura…

Sono nata a Oppido Mamertina. Ho sempre difficoltà e timore a dirlo. Mi sento subito giudicata: quel nome è come un marchio. Sulla carta geografica è solo un minuscolo insignificante puntino, posto alle falde dell’Aspromonte (o come spesso sottolineato con la matita rossa e blu nei temi scolastici dal solerte maestro elementare “ai piedi della montagna”), troppo spesso balzato agli onori delle cronache per fatti non propriamente esaltanti. Come spesso accade, si conosce molto poco dei luoghi in cui si è nati e cresciuti e se non fosse perché ti ha dato i natali tu da quel luogo istintivamente vorresti solo scappare, e, appena puoi, scappi il più velocemente possibile. E come sempre accade, succede che un giorno tu quei luoghi li guardi con altri occhi. Sono venuta a conoscenza dell’escursione solo pochi giorni prima del suo svolgersi ma ho saputo  immediatamente che lì stavolta ci sarei proprio voluta andare. Il tempo di organizzarmi e sono già in macchina ad incontrare i miei compagni di viaggio. Più di un volto noto e qualche nuovo incontro fanno subito ben sperare. La giornata è un po’ grigia e qualche goccia di pioggia fa temere il peggio, ma le condizioni atmosferiche non influenzano minimamente l’umore carico e allegro come quello dei bambini in gita. Un caffè veloce, i saluti di rito e poi via andiamo, non c’è tempo da perdere, Raffaele ci aspetta impaziente e desideroso di accompagnarci in questo viaggio.  La strada è di quelle che non lascia scampo e non ti permette di distrarti neanche un attimo, l’infinito cantiere Salerno – Reggio Calabria tiene desta l’attenzione per tutto il tragitto. Le chiacchiere allegre tuttavia ci portano via veloci verso la meta. Una piccola distrazione fa si che lasciamo l’autostrada un po’ troppo in anticipo facendoci allungare di qualche chilometro il nostro percorso. Io però sono contenta: la strada da me più e più volte percorsa per raggiungere i miei genitori assume un sapore diverso percorsa insieme agli amici. Stavolta mi sento non so come orgogliosa e desiderosa di mostrare e descrivere quella terra alla quale sento più che mai di appartenere. Non c’è nulla di particolarmente esaltante intorno: gli invadenti centri commerciali che hanno ormai devastato quelli che un tempo erano campi coltivati e distese di alberi, spazzatura, borghi dimenticati da Dio. Improvvisamente però ci addentriamo tra ulivi secolari che aprendosi ai lati della strada, con le loro cime d’argento illuminate dai pochi raggi di sole ci danno una sorta di benvenuto in uno dei luoghi più oscuri e difficili della piana di Gioia Tauro, Castellace, frazione di Oppido Mamertina, che è lì, a pochi chilometri da noi. Chissà cosa non darei in questo momento per fare una piccola deviazione e far conoscere ai miei questo piccolo entusiasta gruppo di amici… Li chiamo al telefono per condividere a voce alta il momento. Ma il tempo è tiranno, dobbiamo andare. I ricordi tuttavia diventano più densi: io, piccola, cinque-sei anni, non di più, con mia nonna tra le reti e gli ulivi, giocavo a raccogliere le olive. Un barattolo di latta che conteneva il mastice, quello usato da mio nonno in falegnameria, 50 lire se lo riempivo a metà, 100 se le olive raggiungevano l’orlo. La strada si fa sempre più stretta e tortuosa e comincia ad inerpicarsi su per l’Aspromonte superando paesini ai più assolutamente sconosciuti, fino a raggiungere Delianuova, anch’essa non particolarmente nota ma che ha dato i natali oltre che all’amatissimo e ottimo pasticcere Scutellà, anche ad uno dei più apprezzati pittori, nonché poeta e scrittore del Novecento (Saverio Scutellà), che nelle sue opere descrive con realismo l’asprezza di quei luoghi.  Per arrivare al punto di partenza della nostra escursione si attraversa Gambarie, stazione turistica invernale nel cuore del Parco. Ed ecco che di nuovo i ricordi riaffiorano nella mente toccando attimi di nostalgia: le gite, la scuola, gli amici di un tempo, le estati infinite, gli spazi che sembravano immensi.  Alle cascate Maesano ci si avvicina in auto fino alla diga del Menta. Da qui, inizia il nostro cammino scendendo verso la confluenza del torrente Menta con la fiumara Amendolea su una pista battuta tra una folta vegetazione di pini e faggi. Il percorso è estremamente suggestivo ma non presenta alcuna difficoltà. Ecco finalmente il punto panoramico da cui ammirare in tutta la loro bellezza e forza i tre salti della cascata che vanno a formare altrettante bellissime pozze d'acqua cristallina. Foto di rito, ma la vista delle cascate dall’alto è un richiamo troppo forte e immediatamente i più temerari si tuffano in una ripida e sconnessa discesa per raggiungere il letto della fiumara. Gli angoli più belli sono spesso quelli più difficili da raggiungere tuttavia l’entusiasmo ci fa quasi sentire le ali ai piedi certi che lo spettacolo a cui assisteremo ci ripagherà di ogni fatica. Purtroppo però il livello della fiumara in quel punto è troppo alto ed il tempo a disposizione troppo breve per trovare un guado sicuro e ci vediamo costretti a rinunciare al nostro obiettivo. La delusione è pari alla voglia di tornare non appena la stagione lo consentirà…  Con queste immagini indelebili nella mente e nel cuore rientriamo seguendo lo stesso itinerario dell’andata accompagnati da uno splendido sole finalmente sgombro da nubi.

Avete mai assaggiato i deliesi? Due soffici savoiardi che fanno da cornice ad uno strato di crema delicatissima. Beh, se vi capita di andare da quelle parti, non fateveli scappare. Ripassando da Delianuova noi ne abbiamo fatto una scorpacciata. Ora è il momento di raggiungere la nostra ultima destinazione: il rifugio Biancospino. Vorrei tanto continuare a dare una descrizione idilliaca dei luoghi, ma qui è davvero difficile e non è possibile usare mezzi termini. La strada per raggiungere il rifugio è costellata di sacchetti di spazzatura e da una serie di baracche di lamiera arrugginite, resti di non troppo antichi ripari di animali ed attrezzi, brutture lasciate lì per esprimere un primitivo possesso del territorio. Tuttavia arrivati a destinazione la sorpresa è grande, il rifugio è bellissimo e non ha nulla da invidiare a quelli alpini: stanzette pulite e confortevoli, una sala da pranzo calda e accogliente. C’è aria di casa qui, e Teresa ed Antonio fanno di tutto per farcela respirare. La cena casereccia e abbondantissima e il vino a volontà rendono l’atmosfera leggera e rilassata e sciolgono le ultime difese.

Si parte all’indomani dopo un’altrettanto abbondante colazione con il nostro fedelissimo Raffaele smanioso di farci conoscere luoghi a lui ormai famigliari. Non è una guida, è un amico che condivide con noi la sua esperienza ed il suo entusiasmo. Ci sentiamo sicuri e protetti. La nostra meta è Montalto, la vetta più alta dell'intero Aspromonte. Il dislivello è notevole (circa 700 metri) e si sviluppa in un sentiero lungo e tortuoso dapprima immerso in una ricchissima vegetazione di boschi di faggio ed abete bianco, che, poi, salendo di quota, si trasformano in bassi cespugli contorti su aspre conformazioni rocciose. La cima, su cui è stata posta una statua del Redentore in bronzo per festeggiare il Giubileo del 1901 ed una Rosa dei Venti, è un perfetto belvedere da cui si possono contemporaneamente i due mari, Jonio e Tirreno, le isole Eolie e l'estremità meridionale della dorsale appenninica. E’ giunto così il momento di ritornare. Non c’è tristezza, né malinconia, né stanchezza, ma un senso di pienezza e appagamento che ciascuno di noi vive intimamente. Non avrei potuto desiderare compagni di viaggio migliori con cui condividere tanta bellezza: silenziosi ma presenti, umili e semplici, concreti e tenaci. 

In quanto a me, che dire? E’ stato più di un ritorno a casa, in un luogo abituale, apparentemente noto, amato/odiato, più di un tuffo nel passato. E’ stato un ulteriore passo verso la conoscenza e percezione di me stessa attraverso un luogo dal quale sono partita, poi ritornata e in cui mi sono finalmente ritrovata.

 

                                                                                                         Mariella Liberti

 

 

Joomla templates by a4joomla