La Via della Clessidra

Titititì, titititì, titititì: sono le 6 la sveglia mi chiama; titititì, titititì, titititì: insiste ma io voglio ancora dormire; titititì, titititì, titititì: continua a suonare, devo proprio svegliarmi; titititì, titititì, titititì: allungo la mano per farla finalmente tacere! Assonnata tiro fuori una gamba poi l’altra, sbadiglio, mi stiracchio un po’, chiamo mia sorella Giulia, dobbiamo sbrigarci fra poco passa a prenderci Paola, abbiamo giusto il tempo di preparare gli zaini.

Puntualissima ecco Paola, oggi non è la sola ad essere in perfetto orario, quando arriviamo alla Madonnina con Paolo e Francesca, già ci aspettano Cesare e (udite, udite!) Andrea, il merito è di Cesare o di Giorgio Braschi, il socio fotografo-naturalista che oggi curerà l’escursione? Giunge nel frattempo Don Emilio in tenuta “monte Pollino”, appena arrivano Renato e Giuseppe raggiungiamo gli altri a Torano: Anna e Rita, Franco, Francesca, Vincenzo e Pino, Luigi, Carmelo, Guglielmo, Rosario,…,…, Donatella e Nunzio, Luca, Gianfranco, Ornella, Ferdinando, Arno.


Anche questa volta siamo in tanti come per l’ultima escursione su Serra del Prete, allora per festeggiare l’onomastico di Don Emilio, oggi perché siamo tutti ansiosi di seguire l’itinerario proposto da Giorgio Braschi, curiosi di conoscere questo nuovo percorso “La via della Clessidra” per scalare il Pollino. Ancora non sappiamo che oggi vedremo la nostra meta solo raffigurata sulla maglietta di Don Emilio, seppure con effetto tridimensionale, come commenterà più tardi qualcuno.


Dopo una “breve” sosta per fare colazione alla prima area di servizio, rituale cui siamo molto affezionati e non vogliamo rinunciare, finalmente si parte.

 



E’ una bella giornata e fa già abbastanza caldo, sono in macchina con Andrea e Cesare, superato il tratto con le numerose deviazioni di carreggiata, il tragitto in autostrada diventa piacevole. Ascoltiamo buona musica, brani di Sting, Santana e Buena Vista Social Club sono la nostra colonna sonora, cespugli di oleandri rosa e bianchi rallegrano il grigio dell’asfalto, costringo Cesare che non vuole aprire i finestrini, a causa dell’aria condizionata, ad abbassarli per sentire il profumo inebriante delle ginestre nel pieno della fioritura.


Il massiccio del Pollino appare imponente contro l’azzurro del cielo, ai suoi piedi i suggestivi resti del “Convento di Colloreto”, che a me sembra un castello, immagine da cartolina che un giorno o l’altro mi fermerò a fotografare. Il paesaggio varia: i prati di Campotenese, punteggiati dal rosso dei papaveri, seguono le pareti rocciose di Timpone Viggianello maculate dal giallo delle ginestre e dal verde della vegetazione.

Dalla strada che sale da Campotenese a Piano di Ruggio la bellezza del panorama sottostante è superba, peccato che la strada, a tratti tortuosa, sia piena di buche e piccole frane, possibile che nessuno provvede alla sua manutenzione? Il problema (a quanto pare di difficile soluzione visto che le buche e i piccoli smottamento sono lì da almeno un anno), non preoccupa una placida mucca che transita indisturbata con il suo vitellino sulla nostra strada.

La vegetazione si fa più fitta man mano che la strada s’insinua nel bosco, gli alberi ormai tutti ricoperti di foglie, creano verdi e fresche gallerie. E’ incredibile la varietà di piante e fiori che s’incontrano sul Pollino, ad ogni escursione ne scopro qualcuna che ancora non conosco, qualche settimana fa i crochi, oggi si fanno notare ai lati della strada strani alberi dai quali pendono grappoli di fiori gialli. Quale sarà il loro nome? In attesa di saperlo Andrea li battezza mimosoni.



Dopo una breve sosta alla fontana di Piano di Ruggio per riempire d’acqua fresca le nostre borracce, proseguiamo per il Santuario della Madonna del Pollino dove ci aspetta Giorgio Braschi. Passiamo Colle dell’Impiso, Piano Visitone, la strada si allontana sempre di più dalla nostra meta, che appare sempre più piccola alle nostre spalle, prevediamo, un po’ preoccupati, una lunga escursione per raggiungerla.

L’apprensione dura poco, la strada inverte la direzione e dopo un po’ s’inerpica con numerosi tornanti verso la cresta dove sorge il Santuario. Immerso nel verde e nel silenzio del paesaggio che lo circonda ha un fascino particolare, approfittiamo per visitarlo mentre “aspettiamo“ la nostra guida. Un ramarro prende tranquillamente il sole, finché Anna non lo dichiara un buon soggetto da fotografare per Luigi e Carmelo. Finalmente grazie a Don Emilio, conosco il vero nome dei mimosoni, numerosi anche qui ai lati della strada che sale al Santuario: si chiamano maggiociondoli.

Per un contrattempo al momento sconosciuto (il nostro “piccolo” ritardo?), l’appuntamento con Braschi è saltato, Arno non riesce a rintracciarlo neanche telefonicamente. Un po’ delusi ci avviamo, sotto la guida di Don Emilio, verso una nuova meta: Serra di Crispo passando per i Piani di Iannace, non siamo così temerari da scoprire e affrontare da soli il nuovo itinerario. Cerchiamo il sentiero arrampicandoci sulle rocce dietro il Santuario, dall’alto della rupe Don Emilio avvista e ci consiglia di seguire il sentiero che costeggia le pareti rocciose, già individuato da Vincenzo e Pino. Nonostante procediamo all’ombra dei faggi fa così caldo che quando guadiamo Fosso Iannace mi viene voglia di bagnarmi con quell’acqua che scorre bella fresca.



Così numerosi, quando camminiamo in fila indiana sembriamo un variopinto serpente che allegramente si snoda nel bosco. Sbuchiamo ai luminosi e assolati piani, la vista nuovamente è libera di spaziare dai boscosi pendii di Serra del Prete ai pini loricati che ci osservano dalla cima di Serra di Crispo. Sulla destra Serra del Prete, Pollino, Serra Dolcedorme tutte vette che ho già conquistato, in un anno, Don Emilio propone di riconquistarle in un giorno! L’idea è allettante. Proseguiamo un po’ affaticati tra le rocce e i pini loricati verso la vetta di Serra di Crispo, per raggiungerla mancano i soliti 20 minuti AdM (1 minuto AdM = 180 secondi circa), data l’ora tarda decidiamo di fare una sosta per il pranzo nonostante le proteste di chi vuole continuare per arrivare subito in vetta. La nostra sala da pranzo, all’ombra di un frondoso faggio, ha anche una bella terrazza con vista panoramica dove è piacevole fare una pennichella, mentre aspettiamo chi raggiunge la vetta.


Stare in panciolle in montagna guardando il cielo è bellissimo, i pensieri si allontanano, ci si sente leggeri leggeri, fuori dal tempo, lontano dal mondo. La sensazione è accentuata dai pini loricati all’orizzonte che creano un’atmosfera affascinante ed irreale. Mi vengono in mente i versi dell’Infinito di Leopardi:

“…sedendo e mirando, interminati spazi (...), e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva e il suon di lei. Così tra quest’immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare”.

Prima di annegare navigando, come dice un mio amico, in tanta immensità, un simpatico moscone, un po’ dispettoso, di nome Luca rompe l’infinito silenzio mentre ronzando disturba il meritato riposo di Arno. Facciamo anche la conoscenza di due bei cagnoloni–escursionisti uno bianco l’altro nero, da noi battezzati Black and White.



Cominciamo la discesa, siamo tutti più allegri e rilassati, all’acquedotto Anna ci prepara con l’acqua fredda un buon tè. Riattraversiamo i Piani di Iannace dove fra i bassi ginepri cantano i grilli-talpa.

Nel bosco l’aria immobile e satura di umidità accresce quell’atmosfera fiabesca e misteriosa che sempre si avverte in questi posti. In attesa di ricompattare il gruppo, ci sediamo “sub tegmine fagi”, all’ombra di un grande faggio, bucolica citazione di Rosario di virgiliana memoria.

In poco tempo, rinfrescati da qualche gocciolina di pioggia, siamo al Santuario alle macchine. Dopo una sosta ristoratrice, dove finalmente viene svuotato lo zaino senza fondo di Pino e Vincenzo, riprendiamo la strada del ritorno. Siamo ormai al tramonto quando sostiamo brevemente a Piano di Ruggio, i colori sono diversi a quest’ora, l’aria adesso è più tersa, i contorni sono più netti, il verde degli alberi e dei prati è più brillante e s’intona al mio pile verde ‘evidenziatore’.

E’ stata una bella giornata, anche alla fine di quest’escursione sono come sempre contenta e soddisfatta, anche se non abbiamo percorso il nuovo itinerario, anche se non abbiamo raggiunto la vetta. Mi chiedono spesso perché vado in montagna, che cosa cerco , che cosa trovo. Il contatto diretto con la natura, la varietà e la bellezza dei paesaggi, i silenzi, i pensieri, gli scherzi e le parole scambiate fra di noi, l’arricchimento interiore, è tutto questo quello che rende bella e unica ogni escursione, è tutto questo quello che cerco e trovo in montagna.

Le montagne vanno scalate, non solo ammirate da lontano, “dall’alto della montagna tu puoi vedere come sia grande il mondo e come siano ampi gli orizzonti”. Quando un anno fa ho iniziato a partecipare alle iniziative dell’A.d.M. cercavo nuovi amici, ho scoperto la montagna, sto ritrovando me stessa

Maria Pia De Rango

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